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Potrei dire che forse c’è un eccesso di certificazioni. che in molti casi hanno più uno scopo commerciale che tecnico, visto che hanno un costo e quindi diventano un business. Dipende molto dalla serietà dell’ente certificatore. Vi presentiamo quella sulla certificazione di Esperto in Edilizia Sostenibile, un sigillo che certifica la conoscenza delle migliori norme costruttive in termini di sostenibilità ambientale, inclusi i CAM che già dovrebbero essere patrimonio di tutti i buoni tecnici progettisti. Non è dedicata solo ai laureati in Ingegneria ed Architettura e questo è forse il limite principale.

 

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L’idrogeno è il futuro della transazione energetica? Una domanda che si pone, e ci pone, il nostro collega Gianfranco Benzoni, che ben conosce l’ampio spettro di soluzioni su cui l’umanità (una parte sta a guardare, a dire il vero) indirizza la sua ricerca per risolvere il problema del reperimento di fonti energetiche. Fonti non inquinanti, come primo obiettivo, ma che siano anche reperibili per un lungo periodo, tali da garantire “forniture” sufficienti anche per le “future generazioni”.

Il contributo che pubblichiamo, che ripropone quanto già comparso sul “Giornale dell’Ingegnere” a firma dello stesso autore, è una sintesi, ricca nella sua concisione di dettagli tecnici, della situazione attuale della produzione dell’idrogeno e dei suoi utilizzi, già in essere o concretamente ipotizzabili in un futuro non troppo lontano.

Ci ricorda però, fra le premesse, che l’idrogeno è un vettore, “un accumulatore o serbatoio che dir si voglia”, di risorse energetiche già ricavate da altra fonte, possibilmente e, dopo il 2050, necessariamente pulita.  Ormai è tempo di cominciare a pensarci seriamente.

Il CdR

 

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La qualità dell’aria in ambienti confinati, soprattutto con la pandemia, diventa un aspetto molto importante da tenere in considerazione nell’edilizia, sia quella esistente sia nelle nuove costruzioni.

Si propone una attenta analisi delle tipologie di inquinanti e dell’effetto che gli stessi possono causare sull’uomo.

Lo sviluppo di tecnologie impiantistiche di VMC o comunque sistemi di ricambio d’aria con sezioni di recupero calore e sezioni filtranti diventano elementi imprescindibili nei locali chiusi climatizzati.

Ing. Marta Mascheroni

 

Aprire le finestre per ricambiare l’aria è un gesto a tutti familiare e naturale ma spesso lo compiamo non coscienti delle (contro)implicazioni nè delle alternative che ci offre la tecnologia: la Ventilazione Meccanica Controllata.

Se non “addetti ai lavori”, come i ns Colleghi impiantisti sicuramente sa(p)ranno, pensiamo inconsciamente che la VMC sia roba da grattacieli, dove non si possono aprire le finestre, ed invece no, stiamo parlando di una differenza determinante anche per (tutte) le nostre abitazioni o uffici.

La Collega Arch. Raisa ci porta per mano a passare in rassegna la miriade di differenze, sul piano della ns salute, fra aerazione e ventilazione invitandoci tutti ad entrare, anche se un pò in ritardo e “grazie al covid” nel terzo millennio.

Il CdR

 

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Dalla pubblicazione ad oggi, l’allegato I al D.M. 3 agosto 2015 ha subito parecchie modifiche, anche sostanziali, volte a correggere errori materiali ma, soprattutto, a renderne più praticabile l’applicazione. Il D.M. 24 novembre 2021, entrato in vigore il 2 gennaio 2022 ha, almeno nell’immediato, apportato l’ultima modifica al provvedimento.

 

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La transizione energetica verso fonti di approvvigionamento meno inquinanti, o addirittura non inquinanti –  salvaguardando la salute di ogni essere presente e futuro, ed evitando il surriscaldamento globale – è un obiettivo che l’umanità deve assumersi oggi, senza attendere un incerto domani. A parte i risparmi che ognuno di noi potrebbe fare, che non compenserebbero le crescenti richieste di energia dei paesi in via di sviluppo, spetta alla comunità scientifica scandagliare tante strade possibili per raggiungere questo scopo, che possiamo ben definire “neutralità ambientale e climatica”. Alcune di esse sono del tutto originali, altre attualizzano tecnologie in via di sviluppo e trasformazione.

Sulla loro credibilità non sono giornalisti o politici (utilissimi per quel che è di loro competenza, i primi a fare da cinghia di trasmissione di conoscenza al pubblico, i secondi ad addossarne i costi a questo o quell’utente o contribuente) che possono dare indicazioni concrete, abituati come sono a giocare con le parole e ritenere un optional la quantificazione numerica di un qualsiasi fenomeno. In prima battuta sono gli ingegneri – poggiandosi su dati certi,  se pur attinti ad altre fonti scientificamente valide – che devono darsi da fare.

Ma, a parte lo sfruttamento diretto dell’energia  che ci giunge sotto forma di onde dal Sole e che in tre miliardi di anni ha trasformato un ammasso roccioso, circondato forse da gas mefitici, nella  Terra quale la vediamo oggi (meglio, la vedevano un paio di secoli fa), il difficile è individuare le “bounderies” che influenzano e vengono influenzate  (in positivo o in negativo) dalle soluzioni che vengono ricercate. E trarne il bilancio.

Detto questo, un plauso va alla Commissione Ecologia e Ambiente che ha intrapreso un approfondimento dei vari temi per capire non solo gli orizzonti ma anche le difficoltà da superare per raggiungerli,  Perché auspicare è doveroso, sognare è bello, ma gli ingegneri sono chiamati a svolgere un ruolo concreto e misurabile nei progetti realizzabili che propongono.

Gennaro Guala

Le riflessioni allegate sono dell’Ing. Gianfranco Benzoni, Presidente della Commissione

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Sulla base dei dati attuali, l’energia da fissione nucleare non sembra avere un futuro in Europa, e tanto più in Italia. Pur se i reattori di terza e quarta generazione hanno indubbi vantaggi sul tema della sicurezza, i costi per impianti di grandi dimensioni non sono e ancora di più non saranno in futuro competitivi con la generazione rinnovabile solare ed eolica: è improbabile che questo tipo di reattori giocherà un ruolo chiave nei paesi occidentali e con l’attuale struttura del mercato dell’energia e degli incentivi alla decarbonizzazione.

Per quanto riguarda la fusione nucleare, non potrà dare un contributo significativo alla decarbonizzazione perché è molto probabile che nel 2050, quando potrebbero essere disponibili i primi reattori a fusione, non ci sarà un reale interesse alla loro installazione, ed è improbabile che i costi potranno essere competitivi con le fonti che allora domineranno il mercato.

Ultimamente c’è un grande interesse per gli Small Modular Reactors (SMR), giustificato dal probabile contenimento dei costi, in particolare dalla riduzione dell’investimento iniziale, nonché dalla versatilità e riduzione dei rifiuti radioattivi prodotti. La reale disponibilità commerciale di questi impianti non è ancora certa: il conseguente sviluppo di questa opzione tecnologica dipenderà fortemente dal successo dell’implementazione dei prototipi nei prossimi 10 anni. Solo se si verificheranno effettivamente i benefici oggi previsti, e solo se i costi finali della produzione di energia elettrica da questi fonti saranno molto ridotti rispetto agli attuali reattori di più grandi dimensioni, i reattori SMR potranno essere competitivi in alcuni contesti con le fonti rinnovabili, e quindi giocare un ruolo più significativo nella decarbonizzazione rispetto ad altre tipologie di energia nucleare. Eventuali ritardi, o difficoltà nella compressione dei costi, potrebbero portare fuori mercato questa opzione, o limitarla fortemente. È ancora presto per poter fare una valutazione affidabile in questo senso; al momento, comunque, i principali scenari di decarbonizzazione non considerano questa opzione.

Va ricordato che l’Italia oggi non possiede un’industria nucleare, e l’energia nucleare è stata abbandonata dopo due referendum popolari; il superamento di questi pronunciamenti – al momento improbabile – richiederebbe inevitabilmente tempo, che allungherebbe ancora di più la concreta possibilità di installazione di questo tipo di impianti.

C’è il forte rischio che il dibattito sull’energia nucleare, seppur benvenuto dal punto di vista epistemologico e democratico, possa essere un modo per spostare l’attenzione: una distrazione rispetto alle tante e impegnative scelte che il nostro paese dovrà fare per ridurre le emissioni di gas climalteranti in linea con l’Accordo di Parigi e con il voto del Parlamento che l’ha ratificato alla quasi unanimità.

Visto che le forze politiche che oggi più spingono per l’energia nucleare sono lo stesse che per tanti anni hanno negato la scienza del clima, arrivando ad approvare mozioni in Senato contrarie alla politica europea sul clima, viene il sospetto che questo improvviso  interesse per l’energia nucleare sia in fondo un diversivo: piuttosto che decidere oggi le azioni legislative per ridurre le emissioni climalteranti, entrando nella concreta realtà delle misure, nel calarle sui territori, garantendo equità nella ripartizione degli incentivi e delle tassazioni, molto meglio spostare l’attenzione, discutendo di costruire, in un imprecisato futuro non prossimo, impianti a cui si attribuiscono doti quasi magiche.

 

Stefano Caserini e Mario Grosso

 

Mi permetto una riflessione, che non vuol assolutamente mettere in discussione quanto Stefano Cesarini e Mario Grosso documentano nello studio “La comoda distrazione dell’energia nucleare”. sintetizzata nell’abstract. Spero anzi vivamente che quanto “decretato” per il 2030 e il 2050 siano traguardi raggiungibili, anche se le date dovessero slittare di qualche anno. Confesso anche che non mi piacerebbe che, per raggiungerli, si disseminasse il pianeta di scorie radioattive di durata millenaria. Tuttavia voglio aggiungere che, se il fine è quello di eliminare in atmosfera le emissioni di gas serra derivanti dalle produzione di energia, l’umanità non può assolutamente permettersi il lusso di sottilizzare su quale fonte costi di più o quale di meno, ma adottare tutte quelle che tendono a questo obiettivo. Solo dopo, si potrà cominciare a fare calcoli economici, e indirizzarsi verso le più convenienti.

 

Gennaro Guala

 

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La cosa più naturale oggi è di utilizzare i social o lavorare con videochiamate gestite da piattaforme in cloud, utilizzare la posta elettronica etc.

Ma ci siamo mai chiesto che impronta ha tutto questo sulla emissione di gas serra e, in definitiva, sui cambiamenti climatici?

Milena Gabanelli ci aiuta a “far di conto”……

Il CdR

 

 

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Questa figura è prevista obbligatoriamente nella Pubblica Amministrazione ma è facile capire come stia diventando un must anche nel privato.

Il suo compito è di Pensare, (far) Progettare e (far) Realizzare la trasformazione dei processi produttivi e/o operativi e/o amministrativi e/o gestionali etc. dalla manualità al Digitale con l’obbiettivo dichiarato di avere maggiore velocità, affidabilità e, cosa ormai fra le più importanti, maggiore efficienza energetica complessiva.

Tale obbiettivo è ormai condiviso in tutte le organizzazioni pubbliche o private che siano. A volte è percepito grandemente dall’esterno ed altre dall’interno dell’Organizzazione.

Pensiamo al nostro Ordine. Siamo entrati in epoca Covid-19 con tutte le procedure caricate su un server in cloud e gestite con dei semplici thin client, cioè meri terminali, collegabili dalla sede dell’Ordine o dalle abitazioni delle Segretarie in smart working. Può sembrare una cosa semplice ma non lo è stato affatto.

Ne è valsa la pena? beh, in termini di operatività locale non è cambiato (quasi) nulla ma in termini di sicurezza siamo entrati in un’altra epoca geologica. Pensate solo che prima i NAS per il backup erano fisicamente poggiati sul server. Beh, immaginate un semplice corto circuito, magari causato da un topino, cosa avrebbe comportato? Un vero disastro. Ma vi ho fatto percepire solo la punta dell’Iceberg.

E poi è arrivato il covid. Collegarsi da casa o dall’ufficio è diventata la stessa cosa.

Poi ci sono le procedure interne: amministrative, gestionali, per i corsi, per il protocollo (informatico)…

Infine ci sono le evidenze per chi guarda dall’esterno e fruisce dei servizi: Il nuovo sito, il sito culturale, le newsletter,….

Insomma, nell’arco di pochi anni l’intera gestione dell’Ordine ha attraversato un processo di profonda trasformazione… di transizione al digitale.

Come ci siamo organizzati per gestirla?

Depositario delle decisioni strategiche è rimasto il consiglio in prima persona. Per le decisioni operative è stato nominato, per l’appunto, un Responsabile per la transizione a Digitale (RTD), che sono io, che ha messo in piedi idee, progetti ed individuato le risorse necessarie. Infine, per poter “mettere a terra” tutti i progetti e far funzionare al meglio il sistema è stato nominato un Amministratore di Sistema (AdS), cioè un tecnico specialista, che attua i progetti ed assiste tutti gli operatori nelle problematiche quotidiane.

L’obbligo di nominare un RTD è datato 2017 per cui tutto quanto sopra è avvenuto “senza sconti”. Oggi, nel 2021, il CNI ha pensato di implementare un RTD nazionale, cioè un servizio centralizzato che possa supportare gli Ordini che non sono riusciti a farcela da soli.

Inoltre sta organizzando una “community” per condividere fra RTD territoriali e servizio centrale le tematiche che possono avere risposte comuni.

Livio Izzo

 

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La riqualificazione del Teatro Donizetti è uno dei progetti più importanti portati a termine negli ultimi anni nella città di Bergamo a causa della sua grande significatività estetica. L’intervento sulle facciate è stato affrontato con una soluzione innovativa che ha permesso di limitare i carichi aggiuntivi sulle opere esistenti, di impiegare materiali di particolare durabilità e di conferire all’edificio l’effetto di continuità di finitura rispetto alle opere preesistenti.

Si tratta di un’applicazione che dimostra come la prefabbricazione in calcestruzzo, con le grandi varietà di soluzioni tecniche e di finitura che offre, possa essere positivamente utilizzata anche in settori e applicazioni in cui normalmente vengono adottati altri materiali e tecnologie.

Lo studio e la messa a punto del progetto, sia dal punto di vista tecnico che operativo, è stata certamente piuttosto complessa e onerosa, ma dimostra come le nuove tecnologie disponibili per i materiali cementizi aprano ampie e nuove possibilità di utilizzo.

Sinteticamente.:

I pannelli sono di due spessori. 45 mm per quelli della dimensione più ampia e ripetitiva (300X150 cmq) e di 35 mm per quelli della dimensione ripetitiva inferiore (240X80 cmq). La matrice cementizia è stata rinforzata con fibre di vetro.

Per quanto riguarda i colori erano richieste sei tonalità: è stata utilizzata una matrice a base cementizia bianca dosando quattro diversi pigmenti (nero, arancio, giallo e rosso) in percentuali diverse.

Il montaggio è stato effettuato tramite ponteggi fissi e piattaforma sollevante monocolonna, posizionati, ove necessario, sulla struttura esistente del teatro.

 

CdR

(L’articolo è stato estratto dalla rivista INGENIO al link allegato)

 

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La sostenibilità ha un costo che potrebbe essere anche molto alto. Ma la strada è obbligata ed è meglio prepararci.

Nell’articolo allegato è affrontata in dettaglio la profonda trasformazione che la materia “Calcestruzzo” dovrà sostenere ed i costi che la società dovrà accettare.

Riportiamo qui le conclusioni ma la lettura dell’intero articolo è da una parte sconvolgente ma dall’altro è rivelatore e, per il futuro di ciascuno di noi e per prepararci ad affrontare professionalmente il tema, è bene cominciare a calarsi negli aspetti tecnici del problema perchè “LA SOSTENIBILITA’ INIZIA DAL PROGETTO”.

 

Il CdR

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“Per produrre miscele di calcestruzzo economiche e che soddisfino i requisiti metodologici ed i vincoli di costruzione attuali per le nuove infrastrutture, non abbiamo molte opzioni se non quella di massimizzare il volume di aggiunte minerali impiegando miscele binarie, ternarie o perfino quaternarie con esse in combinazione, e con percentuali ridotte di cemento Portland che agisce (quasi) solo da catalizzatore delle reazioni pozzolaniche.

La quantità minima di cemento per produrre miscele con sufficiente resistenza dipende dal tipo di aggiunte minerali con la loppa al primo posto in termini di volume di legante sostituibile, seguita delle ceneri, dal metakaolino e dalla microsilice per citare i prodotti più noti.

Per raggiungere quindi gli obiettivi del 2030 dobbiamo iniziare da subito a massimizzare il dosaggio di aggiunte riducendo il cemento Portland, ma adeguando nel contempo tutto il sistema di progettazione, specifica, accettazione e verifica di un calcestruzzo che sviluppa resistenza più lentamente e necessita di una cura prolungata.

Ma fino a che le specifiche non imporranno un valore massimo di impronta ecologica delle miscele di calcestruzzo così come impongono lavorabilità, resistenza minima ed altri parametri, sarà difficile poter rendere sostenibile l’insostenibile, perché le soluzioni proposte dalle imprese saranno sempre mirate a comprimere i tempi, non a dilatarli, se questi ritardi non gli sono permessi/riconosciuti finanziariamente. Quindi il cambiamento deve arrivare da progettisti e committenti, ed il ruolo del settore pubblico dovrebbe essere, e lo è in alcuni paesi illuminati del Nord Europa, il vero motore trainante del cambiamento.

Prima che il calcestruzzo 2.0 (che non usa più cemento Portland) sia disponibile commercialmente, dovremo invece attendere lunghi processi di standardizzazione e di adeguamento dei codici di progettazione. Questi sono certamente obiettivi a lungo termine (del 2050 ed oltre) mentre già oggi possiamo, con tecnologia basilare, iniziare a ridurre fortemente l’impatto ambientale della filiera iniziando con il cambiare interamente l’approccio con cui impostiamo nuovi progetti. Progetti che devono diventare scientemente più costosi da eseguire, perché rispettosi di certe regole ecologiche che oggi ancora non vogliamo seguire, solo per guadagnare tempo e risparmiare, senza però renderci conto di quello che realmente potrebbe aspettarci in futuro, se non iniziamo a cambiare mentalità…da ieri.

 

Michel di Tommaso

 

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