Al Convegno, cui ha dato il giusto rilievo anche “L’Eco di Bergamo” del 20 gennaio, erano presenti molti nostri colleghi a sottolineare l’interesse per l’argomento trattato. Interesse che travalica la semplice sensibilizzazione, ormai abbastanza diffusa, ma che li vede (vede tutti noi ingegneri) come protagonisti principali, non come comparse, nel cercare di porre un freno ai danni provocati dai rapidi cambiamenti climatici. E non solo da quelli, ma anche dall’inutile consumo dei suoli, dovuto all’ambizione di Amministrazioni che proiettavano nel futuro ipotesi di sviluppo basati su dati obsoleti, anche se erano di utile guida qualche decennio antecedente, oppure che ancora si fanno vanto di aver ridotto il numero di mc edificabili su ogni mq di suolo occupato. (Leggasi l’esplosione dei nostri paesi)
L’ingegner Claudio Merati, consigliere dell’Ordine, forte della sua profonda conoscenza dell’argomento, maturata come dirigente del Genio Civile prima e della Sede Provinciale poi,’ ha basato la sua relazione sulla numerosità degli eventi, e la gravità dei danni conseguenti, che il il dissesto idrogeologico ha provocato nella nostra Provincia. Per cause dovute in parte a fattori che non dipendono dall’uomo,, ma che tenderanno ad accrescersi a causa di azioni antropiche capaci ormai di alterare equilibri naturali evolutosi in migliaia, se non in milioni di anni. Particolarmente interessante il contributo al convegno di Sergio Taccolini – Presidente della nostra Commissione idraulica- sul concreto funzionamento delle vasche di laminazione.
Ai lavori ha partecipato Diego Finazzi come presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Bergamo, essendo il nostro Ordine uno dei promotori. Si allega sintesi del suo intervento.
Gennaro Guala
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Il problema dello smaltimento della plastica è legato all’uso e direi l’abuso di questo materiale che nacque nei lontani anni 50 e che in maniera esponenziale è andato crescendo in quantità e tipologie.
Penso che i numeri siano più efficaci e pregnanti delle parole.
Oggi si producono nel mondo 400 milioni di tonnellate di materie plastiche all’anno di cui la metà per imballaggi e prodotti di consumo di cui solo il 18% viene riciclato, è una quantità che cresce di anno in anno e che si somma a quelle prodotte negli anni passati arrivando a cifre dell’ordine di 8 miliardi di tonnellate di cui 6 miliardi non sono mai stati riciclati e che mai lo saranno dato che solo una minima quantità delle platiche può essere, ad oggi, riciclata.
Quindi cosa fare? L’articolo cerca di dare una prima risposta fra chi punta al riciclo e chi punta al riuso.
GB
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Come nasce e quanto è rilevante il cambiamento nel clima? Cosa produce oggi a livello globale e a livello locale? Quali e quanti gli eventi estremi? Quale lo sviluppo nel medio e nel lungo periodo? Come progettare interventi adeguati almeno alla riduzione degli effetti? Come convivere con le conseguenze del cambiamento?
A queste rilevanti domande ha fornito analisi, riflessioni e proposte il seminario organizzato dalla Commissione Idraulica e Territorio dell’Ordine degli Ingegneri di Bergamo, svolto a Bergamo il 21 settembre.
Qualificatissimi tecnici hanno presentato agli oltre 80 partecipanti (ingegneri e geologi) dati, esperienze, study cases, modelli e proposte per fornire maggiori capacità per affrontare la drammatica situazione, con particolare riferimento al campo idrologico e idraulico.
Il CDR
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EVENTI_ESTREMI_NEL_CAMBIAMENTO_CLIMATICO
Il tema trattato in quest’articolo riveste un ruolo importante, nell’ambito dell’ingegneria civile, in quanto legato ad azioni che comportano ingenti perdite, sia da un punto di vista economico che umano.
È quindi un problema particolarmente sentito in ambito nazionale e internazionale e, come detto in precedenza, assume una certa rilevanza nella gestione del rischio di infrastrutture critiche o rilevanti per la risposta alle emergenze.
Sono ancora tanti i problemi aperti sulla robustezza e ulteriori ricerche sono necessarie per migliorare le indicazioni fornite dai codici normativi più evoluti. Ciononostante, gli autori del presente articolo hanno cercato di fornire alcuni elementi essenziali per valutare la sicurezza strutturale in presenza di eventi estremi, che sempre meno possono considerarsi rari anche a causa dei cambiamenti climatici e dell’evoluzione subita dall’assetto geopolitico mondiale.
Il crollo del ponte sul Magra è passato quasi inosservato rispetto al più famoso ponte Morandi sul Polcevera. Quest’ultimo era stato progettato su un principio innovativo utilizzato comunemente oggi, quando l’evoluzione tecnica nella realizzazione dei cavi di sospensione dell’impalcato ha sostituito, anche economicamente, i tiranti in calcestruzzo precompresso che, per loro natura, limitavano l’effetto di deformazione dell’impalcato sotto carico. Il ponte sul Magra era stato ricostruito nel dopoguerra basandosi su nozioni del tutto tradizionali. Ciò avrebbe dovuto destare qualche perplessità fra gli addetti ai lavori, notando che, se era stato adottato uno schema corretto per un esercizio teorico di “Scienza delle costruzioni”, che avrebbe fatto arricciare il naso a chi avesse affrontato il problema dopo aver frequentato il Corso di “Tecnica delle costruzioni” e di “Ponti”, e operato qualche anno nel settore.. Non è necessaria una norma specifica per suggerire a un progettista di realizzare un ponte che non collassi dopo che una delle sue innumerevoli campate abbia un cedimento strutturale, come per effetto domino. Ma sono ragionamenti “a posteriori”, che non tengono conto di condizionamenti specifici esistenti nel dopoguerra, tali da influire sulle scelte “inusuali” fatte dai progettisti.
Era naturale che uno dei crolli più imprevedibili ed imprevisti di questi anni fosse oggetto di uno studio (eseguito con programmi molto avanzati) nella ricerca del ventaglio delle cause che l’hanno generato, indipendentemente da quanto determinerà una commissione ufficiale.
Evidentemente un computer non può dirci se il ponte fosse “bello” o “brutto” dal punto di vista strutturale. Guardando al disegno ingrandito di una mezza campata, talvolta l’occhio si vendica e vuole la sua parte.
Alleghiamo lo studio “agli elementi discreti” ed il report del crollo del 2020. Interessante per tutti, e per gli strutturisti nella parte specialistica, che conduce peraltro ad individuarne le cause possibili, diverse da quelle ipotizzabili in prima battuta..
Gennaro Guala
Le immagini che giungono oggi dall’Ucraina si sovrappongono alle fotografie delle nostre città nel secolo scorso, e questioni che sembravano relegate ai dibattiti accademici si fanno di nuovo attuali.
Se la polvere sollevata dai Buddha che si sbriciolano sembra non essersi ancora posata, la vista di un crocifisso cullato tra le braccia dei suoi salvatori ci interroga: cosa spinge il popolo di un paese in guerra ad ammassare sacchi di sabbia attorno ai suoi monumenti, quando le vite umane stesse sono in pericolo?
Prendendo a prestito le parole del prof. Stefano Musso, la ragione è chiara: «il patrimonio siamo noi», la salvaguardia dei beni culturali, della conoscenza che veicolano, coincide con la salvaguardia dell’identità umana e della speranza nel futuro e nella rinascita.
Il 10 marzo scorso, la Società italiana per il restauro dell’architettura ha promosso un dibattito in cui quattro docenti di restauro provenienti da diverse università italiane si sono confrontati su questi temi, in collegamento con il Сentro italiano Leonardo da Vinci presso l’Università Nazionale Politecnico di Leopoli.
Virna Maria Nannei
Membro della Commissione Urbanistica