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L’indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia svela che la maggior parte dei rifiuti organici in Italia finisce in impianti che non sono in grado di trattare efficacemente i materiali in plastica compostabile, che così finiscono in inceneritori o in discarica, in barba alla presunta sostenibilità.

In Italia i prodotti monouso in plastica compostabile come piatti, posate e imballaggi rigidi, devono essere smaltiti insieme agli scarti alimentari. Tuttavia, stando ai dati del Catasto rifiuti di ISPRA, il 63 per cento della frazione organica è inviata in impianti che difficilmente riescono a degradare le plastiche compostabili.

Il resto finisce in impianti di compostaggio che abitualmente operano con tempi decisamente inferiori a quelli necessari a garantire la compostabilità. Una situazione conseguenza dell’impiantistica non sempre adeguata ma anche dell’evidente scollamento tra le certificazioni sulla compostabilità e le reali condizioni presenti negli impianti.

Sono queste alcune delle criticità elencate a Greenpeace da numerosi imprenditori del settore e dal personale tecnico dei laboratori intervistati.

I risultati dell’inchiesta gettano ancora più dubbi sull’operato dell’Italia che da anni incentiva la sostituzione delle plastiche fossili con quelle compostabili, lasciando inalterata la logica del monouso i cui impatti risultano sempre più devastanti.

 

Gianfranco Benzoni

 

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Ormai da diversi anni molti di noi si interrogano su quale dovrà essere il futuro del sistema ordinistico, in particolare quello che regola gli ingegneri italiani. Ci domandiamo come strutturare l’attività degli Ordini in modo che possano rispondere al meglio alle esigenze degli iscritti, in un mondo contemporaneo che procede ad altissima velocità e che determina continui cambiamenti. Volgiamo, insomma, lo sguardo in avanti. Tuttavia, nel fare questo non possiamo ignorare gli avvenimenti del passato. Non possiamo, ad esempio, evitare di chiederci perché, ad un certo punto, gli ingegneri italiani avvertirono l’esigenza di creare un loro Albo e quali e quante battaglie politiche dovettero affrontare per raggiungere i loro obiettivi. Come e perché si arrivò alla creazione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e ai Consigli delle altre professioni. Quali sfide si ponevano allora gli ingegneri italiani e cosa fecero concretamente per vincerle. Quali sono state, nel corso degli ultimi cento anni, le maggiori esigenze degli iscritti all’Albo, cosa è stato fatto per soddisfarle e quali analogie si riscontrano con la realtà contemporanea. La risposta a queste ed altre domande offre, a chi è chiamato ad assumere la responsabilità del governo del sistema ordinistico, importanti elementi per comprendere quali potranno essere le migliori strategie per affrontare le prossime sfide della categoria.

Per questo motivo il Consiglio Nazionale ha avviato da tempo iniziative per assicurare alla categoria la conoscenza, anche critica, del proprio passato, soprattutto sugli aspetti “politici”, che coinvolgono spesso l’attività di altre associazioni ed organizzazioni degli ingegneri, ma anche di altre professioni. Il lavoro svolto è stato notevole, avviato alcuni anni fa chiedendo agli Ordini ed agli iscritti, alle associazioni di categoria, alle università, etc., documenti, libri, giornali, riviste, fotografie, per acquisire quelle informazioni necessarie per avere un quadro complessivo di quanto avvenuto a partire dalla fine dell’800. In questa logica l’impegno si è concretizzato anche nella costituzione della Biblioteca del Consiglio Nazionale, finalizzata soprattutto a raccogliere documenti su temi politici ed istituzionali più che tecnico-scientifici, e la collaborazione con l’AISI (Associazione Italiana di Storia dell’Ingegneria, nata nel 2004) che, a partire dal 2006, ha organizzato con cadenza biennale il Congresso Internazionale di Storia dell’Ingegneria, che, curato dal Prof. Ing. Salvatore D’Agostino, collega esperto ed CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI Protocollo U-ss/4914/2022 del 20/05/2022 appassionato cultore della materia, ha prodotto tantissimi documenti e studi, raccolti in splendidi volumi.

A coronamento di questa attività, è nata la decisione di pubblicare la Storia degli Organi di Rappresentanza Istituzionale degli Ingegneri, che abbiamo intitolato “Ingegneri e Rappresentanza”. Scritta da Antonio Felici, con la collaborazione e la prefazione del Presidente Armando Zambrano, l’opera, articolata in 3 volumi, partendo dal lungo percorso che portò alla creazione dell’Albo, ricostruisce in maniera analitica l’attività del massimo organismo di autogoverno della categoria degli ingegneri italiani. Nel primo volume, in particolare, sono ricostruiti tutti i tentativi di creare un organo unitario di rappresentanza degli ingegneri italiani a partire dal 1875, fino al raggiungimento del complicato traguardo con la legge istitutiva del 1923. Dopo l’analisi del periodo fascista, nel corso del quale la tenuta dell’Albo fu appannaggio dei Sindacati e i previsti meccanismi di autogoverno della categoria furono congelati, l’opera prosegue con la ricostruzione storica della nascita del CNI e con l’analisi sistematica della sua attività fino ai tempi recenti, attraverso l’approfondimento specifico delle singole consiliature. Il libro, inoltre, analizza in dettaglio l’andamento di tutti i Congressi Nazionali organizzati dal 1948. Sono presenti, inoltre, numerosi box di approfondimento dedicati alla descrizione degli scenari politici per ciascun periodo di riferimento e all’approfondimento di temi e progetti di particolare rilievo.

L’opera, infine, contiene una corposa raccolta di documenti pubblicati in appendice. Pertanto, nei prossimi giorni il CNI provvederà ad inviare copie della pubblicazione agli Ordini territoriali ed alle Federazioni. Altre copie saranno inviate alle altre professioni ed a importanti rappresentanti istituzionali. In allegato a questa circolare, inoltre, inviamo copia dell’opuscolo distribuito in occasione della celebrazione del recente convegno di Storia dell’Ingegneria, tenutosi lo scorso 16 maggio a Napoli, e giunto alla 9a edizione, che affronta in maniera sintetica il tema “Ingegneria e rappresentanza” e che è stato oggetto della relazione presentata dal Presidente Armando Zambrano.

Infine, è intenzione del Consiglio presentare l’opera in occasione di un convegno specifico cui saranno invitati i rappresentanti degli Ordini Territoriali, delle Federazioni e Consulte e di importanti istituzioni nazionali.

 

IL CONSIGLIERE SEGRETARIO

(Ing. Angelo Valsecchi)

IL PRESIDENTE

(Ing. Armando Zambrano)

 

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In un mondo in continua evoluzione, sempre più velocemente, é facile voler bruciare le tappe per stare al passo coi tempi.

Tuttavia, come ben spiega l’articolo, la tecnologia non può essere trattata come un aspetto indipendente, ma deve essere legata alla maturità e ai processi aziendali e di commessa.

Uno dei principali errori commessi dalle aziende riguarda l’acquisto di soluzioni tecnologiche senza aver prima definito la propria maturità digitale e aver mappato i processi aziendali.

Solo dopo questa fondamentale analisi si potrà passare all’azione evolutiva!

 

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Le applicazioni possibili della tecnologia BIM alla progettazione antincendio sono molteplici, in questo articolo ne sono state indicate solo alcune. Anche i vantaggi sono numerosi, a partire dalla facilità con cui è possibile modificare le scelte progettuali fatte in precedenza: per ogni singola modifica fatta, si aggiorna l’intero modello, quindi tutte le viste relative. Lo stesso vale per i parametri: modificando la compilazione di un parametro si aggiorneranno tutte le viste e gli abachi. In caso di progettazione con soluzioni alternative, il modello geometrico può essere esportato e utilizzato per simulazioni avanzate di incendio e di esodo, velocizzando il processo progettuale.

Inoltre, una progettazione antincendio realizzata in questo modo non si ferma alla sola parte di prevenzione e protezione, ma è già rivolta verso la gestione della sicurezza antincendio, tema sempre più attuale. Il modello BIM, infatti, può essere utilizzato dalle aziende o dalle ditte manutentrici per tenere monitorate le scadenze dei controlli sugli impianti e sulle attrezzature antincendio, oltre che per aggiornare le informazioni del modello stesso in base ai risultati dei controlli periodici.

Un ultimo vantaggio, ma non meno importante, è la facilità con cui si possono ricavare le informazioni da un unico modello: è sufficiente interrogare un elemento, guardandone le proprietà, per capire la sua funzione specifica all’interno del progetto antincendio. Magari in un futuro non troppo lontano la presentazione di istanze di prevenzione incendi non avverrà tramite formati 2D non interrogabili, ma con un unico modello BIM consultabile e contenente tutte le informazioni progettuali.

 

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Il primo obbiettivo di questo corso, di cui alleghiamo le presentazioni e la relazione più che sufficienti ad informare a formare anche chi non ha potuto partecipare, è sicuramente quello del raggiungimento di un benessere psico-fisico propedeutico ad ottenere i massimi risultati sul piano professionale.

Ma c’è anche un secondo obbiettivo.

Non siamo ancora abituati, infatti, ad associare la “salute” con la “sicurezza” nonostante il D.Lgs. 81 li associ indissolubilmente fin dal titolo.

Ebbene, questo corso ha avuto ad oggetto la Salute così come definita all’art. 2 lettera “o” del Capo I Titolo I del D.lgs 81: “salute”: stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità.

Questa finalità si inquadra quindi perfettamente nell’oggetto del Protocollo d’Intesa fra CNI e CNOP (Consiglio Nazionale Psicologi) che ha proprio la finalità di colmare questo gap.

 

Livio Izzo

 

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Auto elettrica?

E’ impossibile tentare di sintetizzare ulteriormente le singole parti di quanto ha pubblicato Gianfranco Benzoni, presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Bergamo sul Giornale dell’Ingegnere. Impostato su dati reali, abbastanza sconcertanti per chi vede l’auto elettrica come soluzione pressoché immediata dei problemi di emissioni di CO2 dovuti al traffico veicolare. Non preclude  la speranza – che ci sorregge comunque – che la fabbricazione delle batterie possa in futuro evolversi in “senso ecologico”, riducendo l’inquinamento ambientale, atmosferico e socio-politico (reperimento materie prime) legato alla loro fabbricazione.

Uno dei primi motori a scoppio quattro cilindri – visto in un museo  dell’auto nell’interno della Scozia – era costituito da quattro parallelepipedi di acciaio tenuti assieme  da reggette metalliche. Qualche passo avanti è stato fatto, sia meccanico che nel rendimento: certamente non potrà essere superato quello del ciclo di Carnot, o di Otto, ma ci si è avvicinati. Perché dobbiamo pensare che ciò non sia possibile per le batterie e motore elettrico?

La durata di una batteria odierna è di cinque anni, Raggiunge la “neutralità” con le auto in circolazione (l’auto in studio), dopo circa 75.000  Kilometri,

tenendo conto che gli studi finora effettuati sono rivolti alle mini-auto per trasporto urbano  o limitato ai 100 km di autonomia e che la capacità della batteria decresce ad ogni ciclo di carico/scarico. Quindi non è cautelativo prevedere per il futuro (la considerazione conclusiva dell’autore non è dettata da pessimismo) che, indipendentemente dai costi complessivi, per rispettare il Protocolli di Kioto, l’energia elettrica di alimentazione dovrebbe provenire completamente da fonti rinnovabili.

 

Gen Guala

 

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Considerazioni su “Innovazione e Bellezza”

 

Sono certo che i lettori sono in grado di gustare fino in fondo questo elogio alla bellezza di Pier Giuseppe Cassone. Innovazione e Bellezza, per essere precisi, il che vuol dire qualcosa di  leggermente diverso. E funzionale e duraturo, nello stesso tempo. Bisogna essere ottimisti, per pensare di poter raggruppare tutte queste quattro prerogative in norme stringenti, UNI o ISO che siano: le norme, volere o no, impongono al futuro esperienze passate. Per andare avanti, chiedono di essere interpretate non pedantemente applicate.

La bellezza, dev’essere la stella polare cui deve tendere l’innovazione. Bellezza che si trova tanto nelle soluzioni matematiche semplici di problemi complessi, dice Cassone, quanto nell’iPod di Steve Jobs.

Forse, io dico, sono necessarie sensibilità diverse per comprendere l’uno  e le altre: una moltitudine ha apprezzato per la sua bellezza della creazione di Apple, senza intuirne la complessità nascosta; solo chi possiede ottime cognizioni scientifiche è in grado di riconoscere le altre.

Un appunto marginale: è ancora più difficile vedere nella padronanza delle tecniche creative e artistiche di Dalì, l’anticipazione di un mondo a n dimensioni. E’ evidente la sua capacità di rappresentazioni  tridimensionali, anche di insondabili profondità, senza ricorrere a giochi prospettici, ma l’unica opera in cui, personalmente, ho “sentito” di trovarmi di fronte a dimensioni sconcertanti, è quella della cala con sfondo di rocce, in cui, in primo piano, sulla spiaggia sabbiosa il cane solleva un lembo della superficie dell’oceano. Spero non sia un mio sogno surreale, perché non ho più rintracciato quel quadro in nessuna mostra o catalogo.

Restringo il campo all’architettura, visto che in capo all’articolo spicca un particolare del museo di Frank Gehry sulla riva del Nerviol a Bilbao. La poetica  di Gehry e tutta orientata verso la bellezza e l’innovazione. mi era inizialmente sfuggita: andando al MIT, ho visto il Data Maria Stata Center dalla parte preesistente del complesso, una serie infinita di finestre squadrate, e avevo pensato: se questo è Gehry andiamo bene! Nessuno mi aveva suggerito di recarmi a vedere la parte su cui Gehry era intervenuto con la sua dirompente innovazione. Di conseguenza, qualche anno dopo, non mi ero spiegato il salto di stile (la poetica, se preferite) fatto nell’Experience Music Projet di Seattle, con gli occhi abbagliati dai cromatismi delle sue forme amebiche.

Un’infinità di persone conosce un piccolo scorcio del Guggenheim Museum di Bilbao. La copertura di uno dei volumi espositivi su cui scendeva, armoniosamente ondeggiante sul suo skateboard, una succinta fanciulla che pubblicizzava non ricordo quale prodotto. Ho avuto la sfortuna vederlo, l’edificio, nel suo rivestimento grigio argento patinato, in una tediosa e grigia giornata di afa, un cielo inesistente ed il fiume torbido fra le sue sponde in cemento. Il gioco dei volumi, appiattito dalla mancanza di ombre, in gran parte perduto, riservato a occhi attenti  e curiosi.

Ho parlato di Gehry; non c’è forse innovazione e bellezza e funzionalità nel Centro Pompidou a Parigi?

E nella Chiesa del Giubileo 2000  di Meier, non si è cerata anche la durabilità, caratteristica indispensabile  per opere destinate al culto? Ho citato la Chiesa, riportandone un’immagine, perché è un’opera in cui sono stato coinvolto in prima persona, realizzabile solo con tecniche, mai utilizzate in edilizia e tali da spaventare parecchie imprese  costruttrici per la loro carica innovativa. La traccia di queste tecniche è rimasta, e si ritrovano, ad esempio, nella costruzione del grattacielo di tremila metri a Chicago.

Un’ultima considerazione sulla bellezza: caratteristica intrinseca di un’opera che deve reggere al giudizio del tempo. Innovativa, quando è stata realizzata, ma non  più attuale nel 2000.

Esempio. il tempo dorico nell’antica Grecia, la cattedrale gotica di Chartes nel Medio Evo, il Barocco romano, qualche secolo dopo e, se volete, le Isotta Fraschini dei primi anni del ‘900. Cosa che non si potrà dire dei mostri che sorgono in tutte le parti del mondo solo perché ci sono tecniche per realizzarli.

 

Gen Guala

 

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Di estremo interesse questa modellazione di una passerella di 146 metri, sostenuta e stabilizzata con cavi dall’alto e dal basso. Sia in esercizio che  nelle singole fasi di costruzione. La lettura è di pochi minuti ma fa “vibrare” l’Ingegnere che è in noi.

Con proporzioni molto diverse, la stessa soluzione era stata adottata da Sergio Musmeci, per risolvere il problema delle oscillazioni, nell’affrontare lo studio  del ponte sullo Stretto di Messina, per il primo concorso di idee, Mezzo secolo fa., e aveva avuto il primo premio.

Allora non c’erano  programmi per i calcoli strutturali e la simulazione delle azioni che possono sollecitare un ponte  sviluppate successivamente.

Con un po’ di orgoglio si può constatare che le intuizioni che germinano nella testa di un ingegnere, anche se difficilmente attuabili al momento, diventano uno stimolo per altri, e portano i loro frutti in futuro.

GG

 

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Il Ponte San Michele, che supera la profonda forra creata dall’Adda fra gli attuali Calusco e Paderno, cara già a Leonardo da Vinci, ha rappresentato una sfida della mente umana. Più in particolare di  quella del progettista ingegner Julius Rothlisberg, direttore nazionale delle Officine di Savigliano che ne hanno realizzato le strutture metalliche. Possiamo rendercene conto pensando sia agli strumenti di calcolo, sia ai materiali di allora. Compito non facile, anche se meno arduo, è spettato a chi ha dovuto nel tempo verificarne la capacità portante al variare delle condizioni di carico, sia stradali che ferroviarie, Il più importante intervento, che ha modificato la struttura dell’impalcato stradale, risale al 1972, ma interventi secondari e verifiche di portanza si sono susseguite nel tempo.

Bisogna tener presente che l’intervento strutturale al fine di ripristinare prestazioni di servizio su opere monumentali comporta sovente impegni economici superiori a quelli preventivabili per opere di nuova realizzazione. Quindi, nel caso in esame, la valutazione dell’importo stanziato per il ripristino del transito stradale e ferroviario che usufruisce del ponte non può prescindere dal confronto con gli “effetti negativi” che la sua chiusura avrebbe comportato e comporterebbe dal punto di vista economico e sociale sul territorio, di cui l’opera rappresenta uno snodo cruciale.

Contemporaneamente, ci è lecito pensare a che assetto urbanistico più razionale avrebbero avuto i centri interessati se già dalla metà del secolo scorso si fosse pensato a creare una nuova struttura, almeno per il transito veicolare. Ci sono stati tanti progetti, tutti rimasti sulla carta. Valutare cioè, anche gli “effetti negativi”, che conseguono al volere a tutti i costi mantenere all’opera le funzioni per cui era stata voluta. (Mantenere l’opera stessa, visto che lo merita, è un discorso a parte).

Sarebbe un bell’argomento, meritevole dell’esame della nostra Commissione Urbanistica.

Voglio solo ricordare che, per ridurre l’impatto dei vagonetti della teleferica che portavano il materiale al cementificio di Calusco, la Società che lo gestiva aveva realizzato un tunnel lungo quasi 20 Km, che, sempre da Calusco saliva, e sale tuttora fino a Col Pedrino, sottopassando la valle nei pressi di Pontida.

Con questo non si vuol assolutamente sottovalutare l’impegno richiesto dalle verifiche riportate nei seguenti contributi, che hanno assicurato al ponte, con tutte le limitazioni già in essere, con un monitoraggio pressoché continuo, una ulteriore vita di dieci anni. E che in dieci anni sarà praticamente impossibile inventare un nuovo tracciato per la ferrovia. Traetene le conseguenze.

Gennaro Guala

 

Absrtact

Ora il ponte è stato rinforzato e verificato per rendere possibile il transito sull’impalcato ferroviario dei mezzi d’opera concordati con RFI e un transito stradale limitato, non contemporaneo a quello ferroviario (a meno del caso eccezionale del transito di veicoli di emergenza il cui passaggio sull’impalcato stradale è sempre consentito). È stato inoltre studiato e reso possibile, su richiesta della Committenza, il transito sulla struttura dei nuovi treni regionali tipo “Pop” e “Rock”, denominati rispettivamente Donizetti e Caravaggio e presenti nella flotta di Trenord e maggiormente gravosi per il Ponte.

Tutti questi obiettivi sono stati positivamente raggiunti nell’arco di “soli” due anni dalla chiusura, riaprendo il Ponte San Michele al traffico a settembre 2020, tre mesi in anticipo rispetto al programma lavori, nonostante le sopraggiunte difficoltà a seguito della pandemia.

Le verifiche strutturali hanno tenuto conto dello stato di ammaloramento del Ponte, degli elementi rinforzati e delle caratteristiche del materiale originale. Il livello di sfruttamento delle sezioni è stato limitato per tenere in conto di tutti i fenomeni precedentemente descritti che, inevitabilmente, caratterizzano una struttura con una storia di servizio di questo tipo. In esercizio, il comportamento strutturale del Ponte sarà seguito da un impianto di monitoraggio continuo, come accade per tutte le opere di importanza singolare. I rilievi strumentali oltre a consentire un controllo diretto di molti parametri, saranno oggetto di report periodici (ogni sei mesi, corrispondenti ai cicli di caldo/ freddo) e saranno organizzati in modo da creare una serie storica che segua il comportamento del Ponte negli anni. Scadenze fisse e occasione di ulteriori valutazioni complessive saranno i collaudi sessennali che le norme ferroviarie prescrivono per i ponti metallici.

Detto questo, va ricordato che vi sono tuttavia fenomeni ammaloramenti

irreversibili con i quali, grazie ai lavori svolti e ai controlli attuali e futuri, si potrà convivere in sicurezza per un periodo di circa una decina d’anni. Trascorso questo lasso di tempo, sarà necessario un cambio di destinazione d’uso del Ponte, prevedendo nel mentre strutture di nuova realizzazione per il traffico stradale e ferroviario.

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L’impatto (del minicodice) sarà sicuramente importante. Come per il Codice di Prevenzione Incendi nel 2015 ci saranno una parte degli stakeholder che cercheranno di frenare, di conservare quanto consolidato negli anni, ma nulla si potrà fare per evitare il progresso tecnologico, normativo e quindi il miglioramento della reale sicurezza in caso di incendio nelle aziende italiane.

Riporto le parole dell’ex capo del CNVVF Ing. Fabio Dattilo nelle quali trovo la motivazione quotidiana nel contribuire con la mia professione a garantire la sicurezza antincendio nelle aziende italiane: “L’ingegnere che svolge attività nel campo antincendio deve riuscire a far capire al proprio committente che lui sta collaborando a risolvere problemi.

Deve far capire che fa parte della strategia aziendale. Se riesce a far questo ha venduto bene il suo prodotto, un prodotto di non poco conto. Deve far capire che il suo lavoro è quello di risolvere i problemi e non essere il problema”.

 

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