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Dalla pubblicazione ad oggi, l’allegato I al D.M. 3 agosto 2015 ha subito parecchie modifiche, anche sostanziali, volte a correggere errori materiali ma, soprattutto, a renderne più praticabile l’applicazione. Il D.M. 24 novembre 2021, entrato in vigore il 2 gennaio 2022 ha, almeno nell’immediato, apportato l’ultima modifica al provvedimento.

 

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La transizione energetica verso fonti di approvvigionamento meno inquinanti, o addirittura non inquinanti –  salvaguardando la salute di ogni essere presente e futuro, ed evitando il surriscaldamento globale – è un obiettivo che l’umanità deve assumersi oggi, senza attendere un incerto domani. A parte i risparmi che ognuno di noi potrebbe fare, che non compenserebbero le crescenti richieste di energia dei paesi in via di sviluppo, spetta alla comunità scientifica scandagliare tante strade possibili per raggiungere questo scopo, che possiamo ben definire “neutralità ambientale e climatica”. Alcune di esse sono del tutto originali, altre attualizzano tecnologie in via di sviluppo e trasformazione.

Sulla loro credibilità non sono giornalisti o politici (utilissimi per quel che è di loro competenza, i primi a fare da cinghia di trasmissione di conoscenza al pubblico, i secondi ad addossarne i costi a questo o quell’utente o contribuente) che possono dare indicazioni concrete, abituati come sono a giocare con le parole e ritenere un optional la quantificazione numerica di un qualsiasi fenomeno. In prima battuta sono gli ingegneri – poggiandosi su dati certi,  se pur attinti ad altre fonti scientificamente valide – che devono darsi da fare.

Ma, a parte lo sfruttamento diretto dell’energia  che ci giunge sotto forma di onde dal Sole e che in tre miliardi di anni ha trasformato un ammasso roccioso, circondato forse da gas mefitici, nella  Terra quale la vediamo oggi (meglio, la vedevano un paio di secoli fa), il difficile è individuare le “bounderies” che influenzano e vengono influenzate  (in positivo o in negativo) dalle soluzioni che vengono ricercate. E trarne il bilancio.

Detto questo, un plauso va alla Commissione Ecologia e Ambiente che ha intrapreso un approfondimento dei vari temi per capire non solo gli orizzonti ma anche le difficoltà da superare per raggiungerli,  Perché auspicare è doveroso, sognare è bello, ma gli ingegneri sono chiamati a svolgere un ruolo concreto e misurabile nei progetti realizzabili che propongono.

Gennaro Guala

Le riflessioni allegate sono dell’Ing. Gianfranco Benzoni, Presidente della Commissione

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Lascia piacevolmente stupiti che tale proposta di legge sia stata approvata all’unanimità (rarità) dalla Camera e così, in affiancamento a diverse e spontanee sperimentazioni già attuate all’interno di ambiti professionali tecnici considerati ben lontani dalle materie più “psicologiche” o considerate tali, anche le così dette “soft skills” si fanno spazio all’interno della scuola con un periodo di “test” triennale.

Che sia tempo di accorciare le distanze con altre nazioni come Finlandia, Svizzera e Nuova Zelanda (WEFFI 2018), così come si è fatto anni fa con le materie linguistiche?

Vedremo!

 

Photo by Branko Stancevic on unsplash.com

 

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La ricerca di nuovi materiali sia strutturali che isolanti è una delle frontiere che devono essere ricercate per limitare l’uso di componenti plastici di origine fossile, oggi largamente utilizzati, il cui smaltimento nel futuro si prospetta sempre più problematico anche per la ridotta possibilità di riciclo.. Questo articolo ci propone un componente vegetale, il bambù, come materia prima di pannelli isolanti, ricordiamo che questo materiale è largamente utilizzato in Oriente, India in primis, come componente strutturale dei ponteggi in edilizia.
L’articolo ci ricorda una volta di più come la ricerca a 360 gradi sia l’unica via di uscita da un mondo che lentamente ma con determinazione deve uscire dall’uso dei materiali provenienti da fonti fossili.

 

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bambu_moso

 

 

 

 

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Sulla base dei dati attuali, l’energia da fissione nucleare non sembra avere un futuro in Europa, e tanto più in Italia. Pur se i reattori di terza e quarta generazione hanno indubbi vantaggi sul tema della sicurezza, i costi per impianti di grandi dimensioni non sono e ancora di più non saranno in futuro competitivi con la generazione rinnovabile solare ed eolica: è improbabile che questo tipo di reattori giocherà un ruolo chiave nei paesi occidentali e con l’attuale struttura del mercato dell’energia e degli incentivi alla decarbonizzazione.

Per quanto riguarda la fusione nucleare, non potrà dare un contributo significativo alla decarbonizzazione perché è molto probabile che nel 2050, quando potrebbero essere disponibili i primi reattori a fusione, non ci sarà un reale interesse alla loro installazione, ed è improbabile che i costi potranno essere competitivi con le fonti che allora domineranno il mercato.

Ultimamente c’è un grande interesse per gli Small Modular Reactors (SMR), giustificato dal probabile contenimento dei costi, in particolare dalla riduzione dell’investimento iniziale, nonché dalla versatilità e riduzione dei rifiuti radioattivi prodotti. La reale disponibilità commerciale di questi impianti non è ancora certa: il conseguente sviluppo di questa opzione tecnologica dipenderà fortemente dal successo dell’implementazione dei prototipi nei prossimi 10 anni. Solo se si verificheranno effettivamente i benefici oggi previsti, e solo se i costi finali della produzione di energia elettrica da questi fonti saranno molto ridotti rispetto agli attuali reattori di più grandi dimensioni, i reattori SMR potranno essere competitivi in alcuni contesti con le fonti rinnovabili, e quindi giocare un ruolo più significativo nella decarbonizzazione rispetto ad altre tipologie di energia nucleare. Eventuali ritardi, o difficoltà nella compressione dei costi, potrebbero portare fuori mercato questa opzione, o limitarla fortemente. È ancora presto per poter fare una valutazione affidabile in questo senso; al momento, comunque, i principali scenari di decarbonizzazione non considerano questa opzione.

Va ricordato che l’Italia oggi non possiede un’industria nucleare, e l’energia nucleare è stata abbandonata dopo due referendum popolari; il superamento di questi pronunciamenti – al momento improbabile – richiederebbe inevitabilmente tempo, che allungherebbe ancora di più la concreta possibilità di installazione di questo tipo di impianti.

C’è il forte rischio che il dibattito sull’energia nucleare, seppur benvenuto dal punto di vista epistemologico e democratico, possa essere un modo per spostare l’attenzione: una distrazione rispetto alle tante e impegnative scelte che il nostro paese dovrà fare per ridurre le emissioni di gas climalteranti in linea con l’Accordo di Parigi e con il voto del Parlamento che l’ha ratificato alla quasi unanimità.

Visto che le forze politiche che oggi più spingono per l’energia nucleare sono lo stesse che per tanti anni hanno negato la scienza del clima, arrivando ad approvare mozioni in Senato contrarie alla politica europea sul clima, viene il sospetto che questo improvviso  interesse per l’energia nucleare sia in fondo un diversivo: piuttosto che decidere oggi le azioni legislative per ridurre le emissioni climalteranti, entrando nella concreta realtà delle misure, nel calarle sui territori, garantendo equità nella ripartizione degli incentivi e delle tassazioni, molto meglio spostare l’attenzione, discutendo di costruire, in un imprecisato futuro non prossimo, impianti a cui si attribuiscono doti quasi magiche.

 

Stefano Caserini e Mario Grosso

 

Mi permetto una riflessione, che non vuol assolutamente mettere in discussione quanto Stefano Cesarini e Mario Grosso documentano nello studio “La comoda distrazione dell’energia nucleare”. sintetizzata nell’abstract. Spero anzi vivamente che quanto “decretato” per il 2030 e il 2050 siano traguardi raggiungibili, anche se le date dovessero slittare di qualche anno. Confesso anche che non mi piacerebbe che, per raggiungerli, si disseminasse il pianeta di scorie radioattive di durata millenaria. Tuttavia voglio aggiungere che, se il fine è quello di eliminare in atmosfera le emissioni di gas serra derivanti dalle produzione di energia, l’umanità non può assolutamente permettersi il lusso di sottilizzare su quale fonte costi di più o quale di meno, ma adottare tutte quelle che tendono a questo obiettivo. Solo dopo, si potrà cominciare a fare calcoli economici, e indirizzarsi verso le più convenienti.

 

Gennaro Guala

 

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Il tema dei nodi iperstatici, nelle strutture prefabbricate, è sicuramente un punto cruciale e dove la tecnologia sta facendo forti progressi.

Lo schema a vincoli di cerniera, da quando tutta l’Italia è “diventata” zona sismica, è sempre meno praticabile nella forma originaria e si stanno sviluppando sistemi a Nodo Umido Strutturale realizzati con diverse morfologie.

Già sul nostro sito avevamo ospitato un articolo su questo tema: https://ingegneribergamo.online/sistema-costruttivo-a-nodo-umido-strutturale-lanello-di-congiunzione-fra-due-tecnologie-mature/

Con l’articolo allegato il collega Stefano Knisel, esperto in tema di prefabbricazione, condivide altre morfologie di nodo iperstatico realizzati sotto la sua esperienza diretta.

Il CdR

 

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La cosa più naturale oggi è di utilizzare i social o lavorare con videochiamate gestite da piattaforme in cloud, utilizzare la posta elettronica etc.

Ma ci siamo mai chiesto che impronta ha tutto questo sulla emissione di gas serra e, in definitiva, sui cambiamenti climatici?

Milena Gabanelli ci aiuta a “far di conto”……

Il CdR

 

 

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L’Asseverazione della congruità delle spese è diventata una attività improvvisamente molto diffusa fra i Professionisti tecnici ma abbiamo capito anche trattarsi di una attività piena di rischi e di insidie.

Nell’articolo allegato, la Collega Marsetti compie una disamina dei modi migliori per coprirsi le spalle da sorprese e ci mette in guardia anche da quali sono i rischi nascosti fra quelli reali e le coperture efficaci fra quelle possibili.

Il CdR

 

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Quante volte, per iscriverci ad un nuovo servizio, usiamo con disinvolture le credenziali di altri gestori come  facebook o google?

Per noi è una facilitazione ma cosa comporta per la nostra sicurezza? E cosa comporta per il Gestore che dovrà “proteggerle”? E cosa comporta per il gestore del servizio cui diamo le credenziali gestite da un terzo?

Dietro questo semplice gesto ci sono interessi e problematiche economiche, di sicurezza e di gestione tecnica.

Proviamo a guardarci dentro e capirne un pò di più.

Proponiamo due articoli sull’argomento: uno generalista, del collega Vincenzo Singuaroli, ed uno più specialista del collega Ugo Lopez.

 

La Redazione

 

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Questa figura è prevista obbligatoriamente nella Pubblica Amministrazione ma è facile capire come stia diventando un must anche nel privato.

Il suo compito è di Pensare, (far) Progettare e (far) Realizzare la trasformazione dei processi produttivi e/o operativi e/o amministrativi e/o gestionali etc. dalla manualità al Digitale con l’obbiettivo dichiarato di avere maggiore velocità, affidabilità e, cosa ormai fra le più importanti, maggiore efficienza energetica complessiva.

Tale obbiettivo è ormai condiviso in tutte le organizzazioni pubbliche o private che siano. A volte è percepito grandemente dall’esterno ed altre dall’interno dell’Organizzazione.

Pensiamo al nostro Ordine. Siamo entrati in epoca Covid-19 con tutte le procedure caricate su un server in cloud e gestite con dei semplici thin client, cioè meri terminali, collegabili dalla sede dell’Ordine o dalle abitazioni delle Segretarie in smart working. Può sembrare una cosa semplice ma non lo è stato affatto.

Ne è valsa la pena? beh, in termini di operatività locale non è cambiato (quasi) nulla ma in termini di sicurezza siamo entrati in un’altra epoca geologica. Pensate solo che prima i NAS per il backup erano fisicamente poggiati sul server. Beh, immaginate un semplice corto circuito, magari causato da un topino, cosa avrebbe comportato? Un vero disastro. Ma vi ho fatto percepire solo la punta dell’Iceberg.

E poi è arrivato il covid. Collegarsi da casa o dall’ufficio è diventata la stessa cosa.

Poi ci sono le procedure interne: amministrative, gestionali, per i corsi, per il protocollo (informatico)…

Infine ci sono le evidenze per chi guarda dall’esterno e fruisce dei servizi: Il nuovo sito, il sito culturale, le newsletter,….

Insomma, nell’arco di pochi anni l’intera gestione dell’Ordine ha attraversato un processo di profonda trasformazione… di transizione al digitale.

Come ci siamo organizzati per gestirla?

Depositario delle decisioni strategiche è rimasto il consiglio in prima persona. Per le decisioni operative è stato nominato, per l’appunto, un Responsabile per la transizione a Digitale (RTD), che sono io, che ha messo in piedi idee, progetti ed individuato le risorse necessarie. Infine, per poter “mettere a terra” tutti i progetti e far funzionare al meglio il sistema è stato nominato un Amministratore di Sistema (AdS), cioè un tecnico specialista, che attua i progetti ed assiste tutti gli operatori nelle problematiche quotidiane.

L’obbligo di nominare un RTD è datato 2017 per cui tutto quanto sopra è avvenuto “senza sconti”. Oggi, nel 2021, il CNI ha pensato di implementare un RTD nazionale, cioè un servizio centralizzato che possa supportare gli Ordini che non sono riusciti a farcela da soli.

Inoltre sta organizzando una “community” per condividere fra RTD territoriali e servizio centrale le tematiche che possono avere risposte comuni.

Livio Izzo

 

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