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Negli ultimi anni, il metaverso è diventato un argomento di grande interesse per gli ingegneri dell’ICT (Information and Communication Technology). Si tratta di un universo virtuale in cui gli utenti possono interagire con oggetti e persone, creando un nuovo mondo digitale in cui vivere e lavorare.

Il termine è stato coniato da Neal Stephenson nel suo romanzo del 1992 “Snow Crash”. Nel libro è una sorta di mondo virtuale a cui gli utenti potevano accedere tramite visori per la realtà virtuale e interagire con altri utenti in modo simile alla vita reale. Questa visione del futuro sembrava fantascientifica, ma oggi ci si avvicina sempre di più alla realizzazione di questo concetto. Negli anni successivi infatti , il concetto

è stato ampiamente adottato e sviluppato dalla comunità dei giochi online e dei mondi virtuali. Inoltre è stato sviluppato e raffinato da molte altre persone e organizzazioni, tra cui la società di tecnologia Oculus, di proprietà di Facebook, che sta lavorando per creare un metaverso che sia accessibile a tutti.

‌Il metaverso offre grandi opportunità per gli ingegneri dell’ICT. In primo luogo, consente di visualizzare in modo tridimensionale progetti edilizi e infrastrutture, testando soluzioni di progettazione in modo molto più rapido ed economico rispetto ai metodi tradizionali. In questo modo, gli ingegneri possono creare progetti più efficienti, con costi di costruzione ridotti e tempi di consegna più rapidi, oppure può anche essere utilizzato per la progettazione e lo sviluppo di nuove tecnologie. Ad esempio, gli ingegneri possono creare e testare robot, droni e altri dispositivi in un ambiente virtuale prima di costruirli nella vita reale. Questo approccio può essere particolarmente utile per la progettazione di sistemi di sicurezza e di monitoraggio, dove l’uso di tecnologie di realtà virtuale può aiutare a valutare scenari di emergenza in modo molto più preciso e veloce.

Il metaverso può anche essere utilizzato per migliorare l’interfaccia utente dei prodotti ICT. I designer possono utilizzarlo per testare diverse configurazioni di interfaccia utente e di interazione tra utente e prodotto, migliorando così la facilità d’uso e l’efficacia dei prodotti finali. Offre infine un’opportunità unica per gli ingegneri dell’ICT di collaborare in modo più efficace e globale. Gli ingegneri di tutto il mondo possono incontrarsi qui per condividere idee, risolvere problemi e sviluppare nuovi progetti in modo rapido ed efficiente. Uno dei principali vantaggi è che può offrire esperienze molto più coinvolgenti e immersive rispetto a quelle offerte dai videogiochi o dalle app tradizionali. Gli utenti possono interagire con oggetti virtuali, esplorare mondi fantastici e comunicare con altre persone in modo molto più profondo e significativo rispetto a quello che è possibile tramite i social media o le videochiamate. Questo può portare a una maggiore innovazione e a una più rapida diffusione delle migliori pratiche a livello globale.

Tuttavia, l’utilizzo presenta anche alcune sfide. In primo luogo, è importante garantire la sicurezza dei dati e la privacy degli utenti poiché potrebbero essere esposti a rischi come la sorveglianza, il furto di identità e la frode. In secondo luogo, è necessario affrontare i problemi di isolamento sociale e di dipendenza dalle tecnologie, garantendo che non sostituisca completamente la vita reale che potrebbe portare al crearsi una divisione tra coloro che possono permettersi di accedere al metaverso e coloro che non possono, creando una sorta di “divario digitale”.

In conclusione, il metaverso rappresenta un’opportunità unica per gli ingegneri dell’ICT di innovare, collaborare e migliorare il mondo in cui viviamo. Con la sua evoluzione gli ingegneri possono sfruttare il potenziale della realtà virtuale per creare soluzioni innovative e migliorare la qualità della vita delle persone. Tuttavia, è importante affrontare le sfide e garantire che sia utilizzato in modo responsabile e sostenibile, per creare un mondo digitale migliore per tutti.

 

 

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Costruire Top Down, specialmente i parcheggi interrati nelle grandi città, non è una tecnologia nuova ma, trattandosi di cantieri poco frequenti, non tutti i Progettisti si sono imbattuti in questo tema.

Peraltro, a seconda di come si presenta il cantiere, si possono imboccare strategie anche molto diverse che ottimizzano diversi scenari.

Questo video passa in rassegna proprio i paletti posti dai diversi scenari di cantiere e le possibili strade da percorrere, con diverse tecnologie incluso il Sistema a Nodo Umido Strutturale

(https://ingegneribergamo.online/sistema-costruttivo-a-nodo-umido-strutturale-lanello-di-congiunzione-fra-due-tecnologie-mature/

evidenziando le rispettive criticità e le specifiche soluzioni.

Ing. Livio Izzo

 

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L’utilizzo del CSS (Combustibile Solido Secondario, derivante dalla frazione secca non differenziabile dei RSU) al posto del gas sembra la via più naturale al risparmio sia economico che di produzione di Co2 (il CSS costa 1/16 del gas e produce molta meno Co2 di questo) ma in Italia stenta ad essere utilizzato e prende in massima parte la via dell’estero.

I fautori di questa sostituzione dicono che le resistenze sono ideologiche e non giustificate. Come Ingegneri penso che abbiamo il dovere di farcene la nostra idea e contribuire culturalmente al dibattito. Proprio lo scopo del nostro Sito Culturale.

Invito i Colleghi a condividere questo post sui propri profili social e ad esprimere la propria opinione.

Livio Izzo

 

 

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Nella convinzione di fare un’azione divulgativa non superflua, il Sito Culturale pubblica le slide utilizzate dall’ingegner Sergio Tosato e dal dottor Alberto Ciglia nella conferenza tenuta nel mese di dicembre, per Federmanager Bergamo, sul tema “Energia e Società – shock e transizione – un difficile equilibrio.”

Il percorso della conferenza, quindi delle slide, è stato lineare e il contenuto delle slide stesse è agevolmente comprensibile, anche senza commenti, da coloro che, come gli ingegneri, hanno una cultura scientifica di base. Sono una sintesi completa, facilmente integrabile per alcuni argomenti da chi avesse interessi specifici, che, partendo dalla preoccupante situazione attuale, dalle tecnologie in essere per contrastarla, indichi cosa è realisticamente possibile fare per mitigare l’impatto ambientale fino al raggiungimento della produzione di energia “pulita”, attinta a una fonte praticamente inesauribile, in quantità sufficiente a soddisfare le crescenti esigenze dell’umanità.

Non è ancora stato “praticamente” dimostrato che con la fusione nucleare si ottenga più energia di quanta viene richiesta per erogarla. Ci si arriverà, e, per il futuro dei nostri figli e nipoti, dobbiamo darlo per certo.

Non sarà sicuramente il 2050, perché non è un obiettivo che si possa fissare per decreto: potrebbe essere anche prima, perché necessariamente dopo? Al Tokamak in California, sperano prima.
Ma una volta realizzato il prototipo, quanto tempo ci vorrà prima che la realizzazione delle nuove centrali a fusione nucleare dia, in modo rilevante, il suo apporto alla soluzione della riduzione della CO2 in atmosfera? O per convincere la Cina ad abbandonare il carbone come principale fonte energetica? E non solo la Cina, dato che per ognuno degli otto miliardi di esseri umani presenti oggi sulla faccia della Terra, viene bruciata una tonnellata di carbone all’anno.

L’umanità ha davanti a sé una sfida quale non ha mai affrontato. Per di più ne è cosciente a tutti i livelli, perché i media non fanno che ricordarla. Bene fanno, ma il continuo martellare spaventa e può portare a decisioni irrazionali da parte delle forze politiche che vogliono voti, anche di chi è abituato a pretendere senza dare, lasciando ad altri il compito di risolvere i problemi.

In questa fase transitoria, come dovrebbe agire la maggior parte degli ingegneri, che opera ogni giorno sul territorio, lontano dagli avanzati centri di ricerca? Fare tutto il possibile perché quanto progetta sia indirizzato al massimo risparmio energetico e al minimo impatto ambientale, con le tecnologie a disposizione, e – cosa non secondaria – con la capacità economica dei propri clienti.
Anche affinando anno dopo anno accorgimenti che non risolvono radicalmente il problema dell’inquinamento atmosferico e del consumo di fonti non rinnovabili, si possono ottenere, a medio termine, risultati non trascurabili.

Non è un compito secondario, perché non è detto che dall’osservazione di realizzazioni diffuse – sottoponibili ad un’analisi statistica – non sortiscano osservazioni o tecnologie originali, capaci di superare positivamente un’analisi costi-benefici complessiva, permettendo di “sopravvivere” senza catastrofi, in attesa che l’idrogeno “pulito” garantisca all’umanità, liberata da incubi e spettri, millenni e millenni di felice esistenza.

Gennaro Guala

N.B. Nell’analizzare le necessità bisognerebbe anche tener conto delle leggi dei grandi numeri, e non fare semplici divisioni o moltipliche.

 

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In un mondo in continua evoluzione, sempre più velocemente, é facile voler bruciare le tappe per stare al passo coi tempi.

Tuttavia, come ben spiega l’articolo, la tecnologia non può essere trattata come un aspetto indipendente, ma deve essere legata alla maturità e ai processi aziendali e di commessa.

Uno dei principali errori commessi dalle aziende riguarda l’acquisto di soluzioni tecnologiche senza aver prima definito la propria maturità digitale e aver mappato i processi aziendali.

Solo dopo questa fondamentale analisi si potrà passare all’azione evolutiva!

 

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Auto elettrica?

E’ impossibile tentare di sintetizzare ulteriormente le singole parti di quanto ha pubblicato Gianfranco Benzoni, presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Bergamo sul Giornale dell’Ingegnere. Impostato su dati reali, abbastanza sconcertanti per chi vede l’auto elettrica come soluzione pressoché immediata dei problemi di emissioni di CO2 dovuti al traffico veicolare. Non preclude  la speranza – che ci sorregge comunque – che la fabbricazione delle batterie possa in futuro evolversi in “senso ecologico”, riducendo l’inquinamento ambientale, atmosferico e socio-politico (reperimento materie prime) legato alla loro fabbricazione.

Uno dei primi motori a scoppio quattro cilindri – visto in un museo  dell’auto nell’interno della Scozia – era costituito da quattro parallelepipedi di acciaio tenuti assieme  da reggette metalliche. Qualche passo avanti è stato fatto, sia meccanico che nel rendimento: certamente non potrà essere superato quello del ciclo di Carnot, o di Otto, ma ci si è avvicinati. Perché dobbiamo pensare che ciò non sia possibile per le batterie e motore elettrico?

La durata di una batteria odierna è di cinque anni, Raggiunge la “neutralità” con le auto in circolazione (l’auto in studio), dopo circa 75.000  Kilometri,

tenendo conto che gli studi finora effettuati sono rivolti alle mini-auto per trasporto urbano  o limitato ai 100 km di autonomia e che la capacità della batteria decresce ad ogni ciclo di carico/scarico. Quindi non è cautelativo prevedere per il futuro (la considerazione conclusiva dell’autore non è dettata da pessimismo) che, indipendentemente dai costi complessivi, per rispettare il Protocolli di Kioto, l’energia elettrica di alimentazione dovrebbe provenire completamente da fonti rinnovabili.

 

Gen Guala

 

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Considerazioni su “Innovazione e Bellezza”

 

Sono certo che i lettori sono in grado di gustare fino in fondo questo elogio alla bellezza di Pier Giuseppe Cassone. Innovazione e Bellezza, per essere precisi, il che vuol dire qualcosa di  leggermente diverso. E funzionale e duraturo, nello stesso tempo. Bisogna essere ottimisti, per pensare di poter raggruppare tutte queste quattro prerogative in norme stringenti, UNI o ISO che siano: le norme, volere o no, impongono al futuro esperienze passate. Per andare avanti, chiedono di essere interpretate non pedantemente applicate.

La bellezza, dev’essere la stella polare cui deve tendere l’innovazione. Bellezza che si trova tanto nelle soluzioni matematiche semplici di problemi complessi, dice Cassone, quanto nell’iPod di Steve Jobs.

Forse, io dico, sono necessarie sensibilità diverse per comprendere l’uno  e le altre: una moltitudine ha apprezzato per la sua bellezza della creazione di Apple, senza intuirne la complessità nascosta; solo chi possiede ottime cognizioni scientifiche è in grado di riconoscere le altre.

Un appunto marginale: è ancora più difficile vedere nella padronanza delle tecniche creative e artistiche di Dalì, l’anticipazione di un mondo a n dimensioni. E’ evidente la sua capacità di rappresentazioni  tridimensionali, anche di insondabili profondità, senza ricorrere a giochi prospettici, ma l’unica opera in cui, personalmente, ho “sentito” di trovarmi di fronte a dimensioni sconcertanti, è quella della cala con sfondo di rocce, in cui, in primo piano, sulla spiaggia sabbiosa il cane solleva un lembo della superficie dell’oceano. Spero non sia un mio sogno surreale, perché non ho più rintracciato quel quadro in nessuna mostra o catalogo.

Restringo il campo all’architettura, visto che in capo all’articolo spicca un particolare del museo di Frank Gehry sulla riva del Nerviol a Bilbao. La poetica  di Gehry e tutta orientata verso la bellezza e l’innovazione. mi era inizialmente sfuggita: andando al MIT, ho visto il Data Maria Stata Center dalla parte preesistente del complesso, una serie infinita di finestre squadrate, e avevo pensato: se questo è Gehry andiamo bene! Nessuno mi aveva suggerito di recarmi a vedere la parte su cui Gehry era intervenuto con la sua dirompente innovazione. Di conseguenza, qualche anno dopo, non mi ero spiegato il salto di stile (la poetica, se preferite) fatto nell’Experience Music Projet di Seattle, con gli occhi abbagliati dai cromatismi delle sue forme amebiche.

Un’infinità di persone conosce un piccolo scorcio del Guggenheim Museum di Bilbao. La copertura di uno dei volumi espositivi su cui scendeva, armoniosamente ondeggiante sul suo skateboard, una succinta fanciulla che pubblicizzava non ricordo quale prodotto. Ho avuto la sfortuna vederlo, l’edificio, nel suo rivestimento grigio argento patinato, in una tediosa e grigia giornata di afa, un cielo inesistente ed il fiume torbido fra le sue sponde in cemento. Il gioco dei volumi, appiattito dalla mancanza di ombre, in gran parte perduto, riservato a occhi attenti  e curiosi.

Ho parlato di Gehry; non c’è forse innovazione e bellezza e funzionalità nel Centro Pompidou a Parigi?

E nella Chiesa del Giubileo 2000  di Meier, non si è cerata anche la durabilità, caratteristica indispensabile  per opere destinate al culto? Ho citato la Chiesa, riportandone un’immagine, perché è un’opera in cui sono stato coinvolto in prima persona, realizzabile solo con tecniche, mai utilizzate in edilizia e tali da spaventare parecchie imprese  costruttrici per la loro carica innovativa. La traccia di queste tecniche è rimasta, e si ritrovano, ad esempio, nella costruzione del grattacielo di tremila metri a Chicago.

Un’ultima considerazione sulla bellezza: caratteristica intrinseca di un’opera che deve reggere al giudizio del tempo. Innovativa, quando è stata realizzata, ma non  più attuale nel 2000.

Esempio. il tempo dorico nell’antica Grecia, la cattedrale gotica di Chartes nel Medio Evo, il Barocco romano, qualche secolo dopo e, se volete, le Isotta Fraschini dei primi anni del ‘900. Cosa che non si potrà dire dei mostri che sorgono in tutte le parti del mondo solo perché ci sono tecniche per realizzarli.

 

Gen Guala

 

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Nelle scelte tecnologiche degli elementi legati all’efficientamento energetico delle costruzioni, i pannelli fotovoltaici sono oramai al centro della attenzione di ogni tecnico. Riassumere i parametri che ne determinano la scelta è il pregio di questo articolo semplice e veloce che ci indica la strada per una scelta ottimale della efficienza nella produzione di potenza elettrica. Interessante anche la parte finale sulla possibilità di installazione sulle facciate. Da leggere.

 

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L’idrogeno è il futuro della transazione energetica? Una domanda che si pone, e ci pone, il nostro collega Gianfranco Benzoni, che ben conosce l’ampio spettro di soluzioni su cui l’umanità (una parte sta a guardare, a dire il vero) indirizza la sua ricerca per risolvere il problema del reperimento di fonti energetiche. Fonti non inquinanti, come primo obiettivo, ma che siano anche reperibili per un lungo periodo, tali da garantire “forniture” sufficienti anche per le “future generazioni”.

Il contributo che pubblichiamo, che ripropone quanto già comparso sul “Giornale dell’Ingegnere” a firma dello stesso autore, è una sintesi, ricca nella sua concisione di dettagli tecnici, della situazione attuale della produzione dell’idrogeno e dei suoi utilizzi, già in essere o concretamente ipotizzabili in un futuro non troppo lontano.

Ci ricorda però, fra le premesse, che l’idrogeno è un vettore, “un accumulatore o serbatoio che dir si voglia”, di risorse energetiche già ricavate da altra fonte, possibilmente e, dopo il 2050, necessariamente pulita.  Ormai è tempo di cominciare a pensarci seriamente.

Il CdR

 

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La transizione energetica verso fonti di approvvigionamento meno inquinanti, o addirittura non inquinanti –  salvaguardando la salute di ogni essere presente e futuro, ed evitando il surriscaldamento globale – è un obiettivo che l’umanità deve assumersi oggi, senza attendere un incerto domani. A parte i risparmi che ognuno di noi potrebbe fare, che non compenserebbero le crescenti richieste di energia dei paesi in via di sviluppo, spetta alla comunità scientifica scandagliare tante strade possibili per raggiungere questo scopo, che possiamo ben definire “neutralità ambientale e climatica”. Alcune di esse sono del tutto originali, altre attualizzano tecnologie in via di sviluppo e trasformazione.

Sulla loro credibilità non sono giornalisti o politici (utilissimi per quel che è di loro competenza, i primi a fare da cinghia di trasmissione di conoscenza al pubblico, i secondi ad addossarne i costi a questo o quell’utente o contribuente) che possono dare indicazioni concrete, abituati come sono a giocare con le parole e ritenere un optional la quantificazione numerica di un qualsiasi fenomeno. In prima battuta sono gli ingegneri – poggiandosi su dati certi,  se pur attinti ad altre fonti scientificamente valide – che devono darsi da fare.

Ma, a parte lo sfruttamento diretto dell’energia  che ci giunge sotto forma di onde dal Sole e che in tre miliardi di anni ha trasformato un ammasso roccioso, circondato forse da gas mefitici, nella  Terra quale la vediamo oggi (meglio, la vedevano un paio di secoli fa), il difficile è individuare le “bounderies” che influenzano e vengono influenzate  (in positivo o in negativo) dalle soluzioni che vengono ricercate. E trarne il bilancio.

Detto questo, un plauso va alla Commissione Ecologia e Ambiente che ha intrapreso un approfondimento dei vari temi per capire non solo gli orizzonti ma anche le difficoltà da superare per raggiungerli,  Perché auspicare è doveroso, sognare è bello, ma gli ingegneri sono chiamati a svolgere un ruolo concreto e misurabile nei progetti realizzabili che propongono.

Gennaro Guala

Le riflessioni allegate sono dell’Ing. Gianfranco Benzoni, Presidente della Commissione

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